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29/06/2019[vc_row][vc_column width=”1/2″][vc_column_text]
Si è svolto un interessante evento di Mercer a Milano, alla libreria Open, dedicato al mondo HR.
Mercer è un’azienda leader nel mondo HR (human resourcers – risorse umane).
Siamo stati invitati per portare una ventata di aria fresca o, come ci hanno detto alcuni salutandoci, per far partecipare, con la nostra naturalezza, il mondo là fuori all’evento.[/vc_column_text][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_video link=”https://www.youtube.com/watch?v=pJKvR59uGDk&t=402s”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]
Il talento nel mondo HR
La tavola rotonda a cui ho partecipato aveva come argomento principale il talento.
Come si forma, da cosa dipende, come si riconosce, come si coltiva e – dal punto di vista delle aziende – come lo si attrae e come si può fare in modo che non vada via, perchè – come si è più volte sottolineato – il talento non è fedele.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]
Stefano Quintarelli
Il primo intervento, nonchè il più interessante in assoluto, è stato quello di Stefano Quintarelli. Vi ricordate di lui vero? Lo avevo conosciuto tanti anni fa, quando ero ancora piccola, in quanto lo avevo inserito nella mia tesina.
Stefano ha il grande potere di parlare di argomenti complessi e difficili in maniera semplice e mai banale.
Ha parlato di intelligenza artificiale e mondo HR partendo dal fatto che secondo lui il termine, oltre ad essere orribile è sicuramente sbagliato perchè dà adito a domande senza senso nel momento in cui pensiamo alla parola intelligenza.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_single_image image=”2079″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]
Intelligenza Artificiale e mondo HR
Come ha scherzato, se si parlasse di un salame, nessuno si porrebbe il problema stupido di innamorarsi di un salame o di essere amico di un salame o che un salame potrebbe conquistare il mondo.
Ma questa è, nella pratica, quella che noi chiamiamo intelligenza artificiale. Fornire al computer dei dati, tanti dati, una mole infinita di dati ed estrarre un modello statistico da questi dati.
Il modello di output sarà quindi un modello predittivo sicuramente sbagliato in quanto fanno una predizione che è intrinsicamente sbagliata, ma che si avvicina alla realtà, tanto più quanto io ho inserito i dati corretti.
Questo perchè io inserisco dei dati che osservo e ne moltiplico la dimensione. Però semplifico, però scelgo e seleziono alcuni dati.
Stefano ha spiegato con l’ausilio di semplici grafici i modelli matematici, le reti neuronali ed il decision boundering (il confine di decisione) che può essere molto sofisticato grazie a modelli statistici sofisticati.
Le reti neuronali hanno anch’esse una definizione errata. E’ una definizione che risale al 1957 quando sono state inventate per imitare l’utilizzo del cervello. All’apoca si pensava che il nostro cervello funzionasse così, cosa poi rivelatasi errata.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_single_image image=”2086″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]
Calcolare una rete neurale
Stefano ha spiegato in maniera basilare come funziona una rete neuronale e come funziona.
Sempre con l’ausilio di semplici schemi e grafici ha spiegato concetti complessi di forward propagation e back propagation per correggere i risultati di output della rete neuronale.
Partendo da questi concetti che sono diventati chiari a tutta la platea, ha quindi potuto dimostrare come l’intelligenza artificiale sia semplicemente l’estrazione di un modello matematico.
Non c’è coscienza
Non c’è quindi apprendimento, non c’è coscienza e non c’è comprensione. Si parte semplicemente da dei dati matematici e si lavora per minimizzare la distanza tra il modello predittivo ed i dati osservati.
Stessa cosa accade poi nell’archiviazione delle immagini. La macchina non ha coscienza dell’immagine, ma vede solo un insieme di punti che vengono analizzati attraverso dei modelli statistici.
Ecco che, assunti questi concetti, diventa chiaro che tutto quello che è ripetitivo e oggetto di classificazione tenderà a sparire. Tutte le professioni di questo tipo non hanno più senso di esistere in quanto la macchina fa queste operazioni con grandi quantità di dati più veloce e meglio.
D’altronde una volta c’erano quelli che facevano calcoli a mano, poi sono arrivate le calcolatrici, ma nessuno ha gridato al fatto che le calcolatrici abbiano rubato del lavoro.
Grazie al machine learning togliamo pertanto una parte di lavoro, ma togliamo parti alienanti e ripetitive, da fare su grandi quantità di dati, che un uomo non riesce a fare.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_single_image image=”2074″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”2080″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_column_text]
Ambiti di applicazione
Quali sono pertanto gli ambiti applicativi?
La risposta di Stefano è molto semplice: tutti! Ovunque ci sia un passaggio di dati, non necessariamente solo il mondo HR, posso costruire un modello statistico e far sparire il lavoro legato adun solo compito con poche funzionalità.
Se il lavoro ha un solo compito con poche funzionalità, sparirà. E noi non ci innamoreremo dell’IA, come non ci siamo innamorati della calcolatrice e come non ci innamoriamo del salame.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Il passaggio mentale che la collettività dovrà imparare a fare e su cui c’è ancora molto da lavorare è il concetto che sono cose immateriali ma reali.
Tra materiali e immateriali le regole del gioco cambiano radicalmente e gli effetti di piccole trasformazioni hanno effetti sociali molto profondi.
Ha fatto il classico esempio Ryanair e Alitalia. Se un’attività viene dematerializzata, chi continua a lavorare con i vecchi canoni è nei guai.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_single_image image=”2073″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column width=”1/2″][vc_column_text]
Disintermediazione
Si parla spesso di disintermediazione, anche se il termine corretto è dematerializzazione in quanto è il software che intermedia.
Prima i costi dei biglietti venivano fatti un anno prima, si propagava il tutto alle agenzie ed agli uffici e gli aerei viaggiavano vuoti. Oggi con i clienti che comprano direttamente dal sito, che modifica i prezzi più volte al giorno in funzione dell’algoritmo che è stato inserito, gli aerei viaggiano pieni.
Ovviamente tutto dipende sempre dai dati che vengono inseriti nel software. Si accelera tutto nel momento in cui si tolgono gli elementi di frizione: agenzia, filiale,…[/vc_column_text][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”2085″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Questo provoca cambi di paradigmi notevoli. Si lavora ovunque, si amplia la clientela, ma aumentano la concorrenza e lo stress. Per fare questo devi avere un rapporto personalizzato con il cliente.
Ecco quindi che la dimensione materiale si è arricchita di una nuova dimensione immateriale che diventa la prima interfaccia utente e che non deve avere il monopolio. E qui si aprono di nuovo immensi scenari su cui ragionare, su cui decidere, su cui tutelare e su cui legiferare.
Le stime che ormai tutti conoscono sono che spariranno 75 milioni di posti di lavoro, ma saranno ben 133 milioni i nuovi posti di lavoro creati.
La vera sfida è sempre la stessa: l’aggiornamento professionale, non solo dei manager ma di ogni lavoratore. Come aiutare le persone ad imparare e ad aggiornarsi?
A proposito dei manager, noi avevamo parlato in questo post della nostra visione di manager.
Arriva poi il momento della nostra tavola rotonda.
Insieme a me erano presenti Francesco Omodei Salè di Moncler che ha portato il suo particolare punto di vista di azienda nel settore fashion e Cesare Ranieri di Enav con la sua visione all’interno di un’azienda grande e strutturata che ha sottolineato l’importanza di valorizzare i talenti già presenti all’interno dell’azienda, così come l’importanza che lui attribuisce alle interviste in uscita, quando cadono tutte le barriere e ormai si può dire quello che si vuole.
Sono quindi un modo molto pratico per avere il termometro di tanti problemi e soluzioni.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_single_image image=”2084″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]
Le regole e i Millennials
Si è parlato di Millennials e di talenti in generale. I talenti non vogliono le regole.
Mi sono abbastanza rispecchiata in questa definizione, non come non necessità delle regole, ovvio che quelle ci vogliono, ma come insofferenza alle regole inutili, alla burocrazia, al controllo.
I talenti non vogliono burocrazia, per potersi focalizzare sul compito preciso che hanno deciso di abbracciare e sul suo sviluppo. Sono diretti verso l’obiettivo e i talenti vogliono essere valutati per i risultati.
Questo poi, come ha sottolineato Ranieri, si scontra però con la realtà dei fatti e delle regole imposte, non solo al mondo HR: contratti nazionali, dei sindacati e delle regole non bypassabili con cui ci si scontra e che non rendono le aziende attrattive da parte dei talenti.
E’ emerso che un metodo per riconoscere i talenti è quello di farsi aiutare. Chi certifica i talenti? La comunità.
Concludendo è emerso che la tecnologia deve possedere le tre E: etica, empatia ed equità.
Gli HR presenti sanno bene quanto deve essere etico il trattamento dei dati e quanto può e deve essere etica una tecnologia.
L’equità è poi un tema di responsabilità sociale e l’empatia deve essere anche, nel senso più ampio, empatia organizzativa e questo riguarda soprattutto il mondo HR. Ecco perchè bisogna curare il sentiment analysis e l’enviroment del lavoro.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_single_image image=”2083″ img_size=”full” el_id=”hr milano evento mercer italia”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]
Smart working ed HR
E’ stato sottolineato come lo smart working non è il lavoro da casa, come spesso viene inteso, ma è smart nel senso che cambia le regole del gioco.
Se io faccio un lavoro da casa allo stesso modo in cui lo devo fare in ufficio, con una presenza costante, non è smart working, ma aumenta semplicemente la frustrazione e i dati certificano infatti che tantissimi tornano in ufficio e rinunciano.
Ecco perchè serve il cambio di paradigma di cui il mondo HR deve prendere atto: il lavoro da casa deve essere flessibile. Lavorare Smart non vuol dire essere Smart.
E’ stato portato uno studio che ha evidenziato come i Millennials sono disposti a rinunciare ad una piccola parte economica per l’azienda che agevola formazione e carriera in maniera trasparente e meritocratica.
Forse proprio su temi così attuali e così antichi dovrà puntare il mondo del lavoro: trasparenza e meritocrazia![/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_single_image image=”2082″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row]